Direttore, lo studio di Confesercenti nazionale riporta numeri che sono piuttosto inquietanti: -2530 €, in media, di diminuzione in termini reali della spesa annuale delle famiglie, dal 2011 ad oggi, e 60 miliardi di € persi per la minor spesa complessiva. Come commenta questi dati?
“Nonostante alcuni timidi segnali di crescita, che si sono manifestati tra il 2016 e il 2017, la situazione non si è modificata affatto sul piano dei consumi. L’economia è ripartita, ma per quanto riguarda prevalentemente le esportazioni: le grandi industrie sono in salute, presentano bilanci anche straordinariamente positivi, ma perché quasi tutte lavorano con l’estero, mentre quelli che non sono ripartiti sono i consumi interni”.
Qual è la fotografia, in tal senso, del nostro territorio?
“La Lombardia evidenzia, quanto a contrazione dei consumi, un dato preoccupante: sono calcolati 3500 € in meno a famiglia, un target quindi abbondantemente al di sotto della media nazionale. Da notare, poi, “quali” voci incidono particolarmente: pesa in modo rilevante la spesa per i trasporti con una variazione di -1044 €, cioè il 14% di tutte le contrazioni rilevate. Il budget familiare dei cittadini lombardi si è ristretto in maniera quasi paradossale rispetto a regioni come Toscana, Campania, Sicilia, Liguria. Viene da chiedersi, ovviamente, quali siano le ragioni per cui una regione così ricca e importante possa rappresentare un così triste primato”.
Appunto, quali fattori si potrebbero indicare per un così consistente calo dei consumi in un territorio indicato tradizionalmente come la locomotiva d’Italia?
“Beh, possiamo guardare anche altri indicatori: pesa notevolmente la voce “abitazione”, in cui rientrano le utenze di elettricità, acqua, gas e combustibili, con un -1311 €, pari al 34%: insieme ai trasporti, fanno più del 50% della spesa complessiva delle famiglie lombarde. Gli altri settori in crisi, dove il calo dei consumi è più significativo, sono l’abbigliamento e i servizi ricettivi e di ristorazione. In altre parole, la gente si veste di meno, ossia riutilizza quello che già possiede e va meno al ristorante”.
La voce “abbigliamento” non rappresenta una sorpresa, dato che Confesercenti ha più volte levato la voce per chiedere maggiori tutele verso questo comparto del made in Italy così strategico, ma anche molto in difficoltà…
“Questo è sicuramente uno degli indicatori più problematici. È risaputo che il settore vive una crisi profonda e che molte attività devono chiudere i battenti, anche per colpa della stagionalità. Quest’anno, per esempio, le vendite estive non sono mai partite. Noi abbiamo lanciato l’allarme al riguardo, chiesto delle azioni di sostegno a queste imprese, soprattutto per la dilazione dei costi fiscali; ci sembra un intervento minimo”.
Veniamo al capitolo e-commerce, cui nell’indagine è dedicato un focus specifico.
“A livello nazionale, l’e-commerce è cresciuto del 120% in otto anni, vale a dire di circa il 15% all’anno, sottraendo in misura molto forte attività al commercio tradizionale. Secondo i dati di Confesercenti, nel 2018 sono 22.287 le imprese del commercio elettronico, il 119,8% in più rispetto al 2011. Si diffondono a una velocità 12 volte superiore a quella dei nuovi ristoranti, 8 volte superiore a quella di nuove strutture per l’alloggio, 20 volte superiore a quella di nuovi negozi alimentari. E ogni 3 negozi specializzati che chiudono, nasce una nuova attività sulla rete. Altro dato che sorprende: gli imprenditori che si dedicano alla vendita via web sono più giovani della media. La caratteristica più rilevante è infatti proprio l’età degli imprenditori, di quasi 10 anni inferiore alla media del commercio al dettaglio tradizionale (39,7 anni contro 48,2), tanto che la quota di imprenditori con meno di 35 anni è il 28,4%. Ciò significa che l’e-commerce sta crescendo con una rapidità vertiginosa. Come tutte le bolle, continuerà ad espandersi, fino ad arrivare al punto in cui si assesterà, ma in questo momento non è più un fenomeno, bensì una realtà con cui misurarsi concretamente”.